Nell’ennesima storiaccia di violenza esplosa in seno al movimentismo neo-fascista italiano, tra un volantino e un megafono – voce rauca e lacrime agli occhi –, nei documenti sequestrati dagli agenti della Digos e nelle fotografie impettite dei militanti, prima di tutto, inevitabilmente, affiora il grottesco.
Non dovresti ghignare.
Mentre le labbra non obbediscono al tuo senso etico (non lo fanno mai) e si schiudono, labbra impudenti già atteggiate al riso, sai che stai commettendo un grave errore, il primo passo verso un’indulgenza ammantata di pretesa superiorità intellettuale – quella stessa pretesa superiorità intellettuale che, da almeno tre secoli a questa parte, travestita da lume della ragione, ha prima sottovalutato e poi giustificato ogni genere di violenza.
Eppure.
Eppure non riesci a non sorridere di quella retorica neo-coloniale da Istituto Luce, dei soprannomi evocativo-finto-arcaici, della “ducessa”, della “Legione Opicina”, della Storia ridotta ad aneddotica semplificata, del povero Celine usato come piede di porco, dell’ “hic manebimus optime” che, da Tito Livio ad Eugenio Montale e Gabriele D’Annunzio, oggi dimora nella celebrazione sgrammaticata dei comizietti di questi Iannone da strapazzo.
Poi, certo, la paura e la preoccupazione.
Il Mein Kampf nelle sezioni, l’oltraggio come prassi, i coltelli, le spranghe e le molotov, il negazionismo, l’indottrinamento all’odio razziale, lo squadrismo del terzo millennio dei fascisti del terzo millennio – un trionfo ossimorico, a ben vedere – le intercettazioni telefoniche in cui si parla di soggetti appartenenti a “tribù diverse” da annientare e distruggere, in una evocativa riproposizione del più retrivo arcaismo culturale, fino, ed è notizia di queste ore, alla teorizzazione dello stupro punitivo, sfregio infamante e vigliacco, doppiamente vigliacco nell’ aberrazione di un disegno razionale e spaventoso e nell’ingiuria di un linguaggio brutale – purissima semantica trivialità.
Infine, è un dettaglio a colpire.
Il particolare che elude il generale, lo riveste e lo illumina.
Tra le fotografie degli arrestati, spicca quella di Emanuela Florino, giovane leader dell’estrema destra napoletana, candidata, nella prossima tornata elettorale, proprio nelle liste di Casapound.
Florino è un cognome che pesa nella storia della destra italiana: Michele, padre di Emanuela, fu parlamentare del MSI già nel 1984. Senatore della Repubblica dal 1987 al 2001 (quattro legislature, prima nel MSI, poi in AN), attualmente milita ne La Destra di Francesco Storace.
E’ un lampo che squarcia il buio, calato per un attimo su quest’orgia di retorica da due soldi; il racconto di cupa violenza, l’ennesimo, ci ha offuscato lo sguardo, sottraendo alla nostra attenzione una macroscopica ed inestirpabile peculiarità italiana.
Un tratto vivido che, di colpo, accomuna i neonazisti punk del ricco nordest, le curve dei nostri stadi vuoti, i giovani nei licei della Roma Bene e tutto quell’universo millesimato di inni, motti e saluti romani, sotto l’effige immortale del familismo italiano, del cognome del Padre, che conta e torna buono, e con cui deve necessariamente fare i conti persino la sedicente “destra dal cuore puro” (eccome, visto che le liste senza i voti non sono granché utili), con buona pace delle sue intransigenze declinate un tanto al chilo.
Siamo, di colpo e ancora una volta, catapultati in un romanzo di Sciascia, o in un film di Monicelli – anzi di Virzì, ché Monicelli è già poesia –, musiche di Rustichelli, fumo di sigaretta in sala, e la giovane protagonista che gioca alla rivoluzione nera, mentre il papà – un Sordi gaglioffo, direi – gongola ripensando ai bei tempi delle sprangate di gioventù.
Forse, alla fine del Tempo, quel che ci salverà sarà il nostro infinitesimale senso del ridicolo.
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