Alla ricerca del tempo perduto

8 Apr

Breve compendio inattuale di quel che il centro-sinistra italiano avrebbe dovuto e potuto fare negli ultimi 9 mesi.

Cominciamo dall’inizio.

Nel Partito Democratico si sarebbe dovuto permettere, attraverso elezioni primarie aperte e non subordinate a regole da nomenclatura nordcoreana, la rimozione della più fallimentare ed insieme inconcludente classe politica di centro-sinistra che la recente storia europea ci abbia consegnato. Non un primato da poco, a ben vedere.

Si sarebbe dovuta e potuta considerare l’ipotesi di stabilire un contatto, innanzi tutto dialettico, con tutti i settori della società italiana. Ipotesi, sia detto per inciso, tutt’altro che lunare, ed anzi consustanziale ai più elementari principi di democrazia partecipata.

Si sarebbe dovuto usare il linguaggio del pragmatismo e della trasversalità, giacché (com’è noto a chiunque abbia voglia di mettere il becco fuori dall’uscio anche solo una volta ogni tanto) una visione adulta, concreta e non stereotipata della realtà non può determinarsi rinchiudendosi all’interno dei propri recinti di riferimento, delle proprie arcaiche visioni di lavoro, società e politica, continuando stancamente a mutuare dal passato totem e idoli francamente incomprensibili, oltre che del tutto inattuali.

Si sarebbe dovuto e potuto capire, anche semplicemente basandosi sui dati empirici, che candidare un trentasettenne estraneo ad un organigramma di potere pluriventennale avrebbe rappresentato un elemento di attrattiva mediatico-elettorale formidabile (ma, prima di questo, si sarebbe dovuta considerare la capacità di attrattiva pop-mediatica come un elemento strutturale, positivo ed irrefutabile della contemporaneità, e non un orrendo prodotto del demonio capitalista), che avrebbe messo fuorigioco ogni ipotesi di ricandidatura di Berlusconi e di Monti, ed avrebbe scongiurato l’inverarsi di quel dato di fatto, ormai universalmente noto, per il quale in Italia, e non ci sono Apocalissi che tengano, un ex-comunista i voti non li prenderà mai.

Per quel che invece concerne non soltanto alla condotta del PD, ma anche a quella di ogni singolo, infinitesimale brandello costituente la smisurata galassia della sinistra italiana – e quindi anche tutti noi, in qualità di cittadini – si sarebbe dovuto e potuto smettere una volta per tutte con questo insopportabile snobismo per il quale ogni posizione diversa dalla propria è sempre ed inesorabilmente una visione sbagliata e corrotta, una visione da servi, da venduti, da sepolcri imbiancati. 

Si sarebbe dovuto cominciare a considerare che esiste, ad ogni latitudine e non soltanto all’interno del proprio elettorato di riferimento, gente per bene pronta ad ascoltare – sempre che, ovviamente, si abbia qualcosa da dire. 

Si sarebbe dovuto e potuto smettere con l’incomprensibile arroganza di chi sceglie di concludere la propria campagna elettorale chiudendosi in un teatro invece di aprirsi ad una piazza, e comprendere che chi ha votato fino ad oggi forze politiche diverse non è necessariamente un irrecuperabile coglione incapace di comprendere gli inestimabili progetti politici di un qualsiasi Bersani, Vendola o Ingroia, ma un interlocutore con cui confrontarsi.

E veniamo all’oggi.

E’ di tutta evidenza che la situazione di stallo attuale è, in massima parte, il prodotto dei sopraelencati errori di valutazione delle forze di sinistra e riformiste di questo Paese.
Ed è di altrettanta evidenza che le lapidarie parole di Matteo Renzi di qualche giorno fa, “stiamo solo perdendo tempo”, rappresentano semplicemente la fotografia della politica italiana delle ultime settimane. 

In questa situazione, con tre partiti bloccati da rispettivi veti incrociati ed un Quirinale depotenziato dall’avvento del semestre bianco (un evento non del tutto imprevisto, che certifica ancora una volta la proverbiale lungimiranza della politica italiana), il bivio che si presenta è chiaro ed ineluttabile: o Bersani si piega all’abbraccio mortale con il PDL, oppure certifica il proprio fallimento e quello del gruppo dirigente e dell’intera linea politica di cui è espressione, rimettendo il mandato affidatogli da Napolitano e chiedendo nuove elezioni il prima possibile, magari entro l’estate.

Al di fuori di queste due possibilità, il dato resta incontrovertibile: ogni procrastinazione (la si nomini pure con epiteti quali “consiglio dei saggi”, “convergenze parallele” o altre amenità linguistiche) rappresenta solo una perdita di tempo.

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3 Risposte a “Alla ricerca del tempo perduto”

  1. gianmarcoveggetti 15 aprile 2013 a 10:16 PM #

    bel post. bravo! ti seguirò! sul mio blog ogni tanto scrivo di politica ma vedo che alla gente la politica interessa poco. complimenti ancora!

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