Indietro tutta, miei Prodi.

19 Apr

La candidatura di Marini, proposta ieri dall’apparato PD, è riuscita nella non semplice operazione di spaccare definitivamente il partito, ricompattare il PDL e farsi odiare indistintamente da tutti gli altri.
Era dunque prevedibile
che, dopo predetta proposta suicida, il PD cercasse, nel modo baracconesco, ridicolo e protervamente autoreferenziale che gli è proprio, una qualche ancora di salvezza.
La ricerca di redenzione si è dunque conclusa con il disperato approdo nell’unico porto sicuro che i democratici conoscono, e nel quale da vent’anni, con ottusa coerenza ed insindacabile ortodossia, ciclicamente cercano riparo: Romano Prodi.

Come dire, rifugiarsi nel passato e ricompattarsi a pochi millimetri dal baratro.

La candidatura di Romano Prodi alla Presidenza della Repubblica, votata all’unanimità dal consiglio dei grandi elettori del PD è puro distillato di passatismo.
Una scelta che, se da un lato ricompatta (momentaneamente) il partito dietro un nome forte, dall’altra certifica il terrore e l’incapacità dell’apparato democrat anche solo di immaginare il nuovo; racconta dell’ennesima prova di insipienza politica dell’intero gruppo dirigente Bersaniano, verga un nuovo, luminoso capitolo di incolmabile, arrogante, siderale distanza con il proprio popolo ed il proprio elettorato. Elettorato che – evidentemente animato da una quota di buon senso maggiore di quella ricevuta in dote dai vertici politici che, pure, ha scelto attraverso le sciagurate primarie di dicembre – ha ritenuto fin da subito il nome di Stefano Rodotà, proposto dal M5S, come assolutamente perfetto: rappresentativo, pacificatorio, insieme fresco e rassicurante, e, soprattutto, scelto in una rosa di nomi – da Zagrebelsky a Fo, passando per Emma Bonino – da sempre organici all’universo valoriale dell’elettorato progressista italiano.

Ieri sera, mentre osservavo Bersani (ormai irreversibilmente abbandonato dalla base e fatto a pezzi dai suoi compagni di partito) abbracciare Angelino Alfano a Montecitorio e biascicare uno svogliato “boh” a quanti gli chiedevano una previsione sul voto dell’aula,  non ho potuto non pensare alla famosa massima di François de La Rochefoucauld:

“Il ridicolo disonora più del disonore.”

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