NO.

1 Mag

Tempo necessario per trovare ragioni, metabolizzare, interiorizzare, analizzare.

Il nodo cruciale: le ultime due settimane cambieranno radicalmente e per sempre la Storia d’Italia; al netto della cronaca degli eventi, che non riproporremo in questa sede, l’urgenza di sistematizzare si scontra con una realtà degenerata e confusa, nella quale è assai difficile porre punti fermi.
Provarci, tuttavia, è imperativo. Dunque:

1) L’implosione del Partito Democratico.

Un “cupio dissolvi” secolarizzato, un desiderio di mistico annientamento, di aspirazione alla rinuncia della propria personalità – il rifiuto dell’esistenza, il desiderio di estenuazione, la volontà masochistica di autodistruzione – è ciò che il PD ha dapprima evocato e poi proposto ed incarnato.

Ma, con buona pace della biblica visione di San Paolo, alle nostre latitudini e nella nostra prospettiva incardinata in mondane facezie, non v’è alcun orizzonte ascetico da perseguire, né improbabili fusioni in Cristo; quel che c’è, in ordine sparso e volutamente alogico, è la dissoluzione di un DNA sempre evocato e mai determinatosi, e la preservazione di un gruppo dirigente tanto incapace quanto famelico di quote di potere: un insieme di arrivismo, dirigismo e infantile spregiudicatezza, che non ha risparmiato nessuno.
Non ha risparmiato quanti, dal 2009, hanno guidato la segreteria democratica – i maggiori responsabili della catastrofe, ineguagliati e ineguagliabili nella loro insipienza politica, ideologica, direi quasi esistenziale – i quali, dopo aver condotto una campagna elettorale patetica, aver non-vinto le elezioni (sic) e aver perso quasi due mesi senza riuscire a tessere uno straccio di alleanza di Governo che non includesse il Mastino di Baskerville e la sua accolita di nani e lacché, sono financo riusciti a guadagnare sul campo la Palma d’oro per la miglior faccia tosta, con dichiarazioni del tipo “quella del PD è una storia vincente”.
Non ha risparmiato i giovani turchi, vecchi-bambini da sempre cooptati, cresciuti nel grembo del Dalemismo da sottobosco: cani da riporto famelici, che, dopo esser stati sul carro del Bersani vincitorperdente per anni, non hanno esitato un minuto, una volta decapitato il segretario, a sposare la linea Renziana fino a poche ore prima visceralmente avversata.
E, ciliegina sulla torta di un pastrocchio che se non fosse drammatico sarebbe soltanto ridicolo, non ha risparmiato neppure Renzi e i suoi giannizzeri: mezz’ uomini con sguardi stolidi degni dei più riusciti personaggi Lynchiani, che per primi hanno aperto all’abbraccio mortale con il PDL, dopo aver sbandierato per mesi l’effige dell’anti-alleanzismo come principio fondante e non negoziabile.

Del Partito Democratico, dopo quanto accaduto – trasversalismi, minacce di espulsioni, traditori d’ogni risma, dilettanti veri e presunti, etc. – non resterà più nulla.
Il futuro, sacrificato dall’ottusità vorace ed imbecille dei suoi dirigenti, sarà di pura inconsistenza politica. Stop.

2) Il principio di emergenza.

L’evocata responsabilità istituzionale è il fantasioso abito del Re nudo.
Non occorrono semantiche improbabili né prospettive lombrosiane per intuire che, con spregiudicati gaglioffi come Renato Brunetta o Maurizio Gasparri (cogliendo fior da fiore), nessun fantomatico “patto per la nazione” è possibile.
Credere in un ravvedimento di quella parte di immutati impresentabili che da vent’anni fa carne di porco non solo delle Istituzioni repubblicane ma anche dei più basilari principi di etica pubblica, in ragione di una non meglio precisata saggezza acquisita, è offensivo per l’intelletto di chiunque abbia anche solo un briciolo di memoria.
Perciò, caro lettore: tu, che hai vissuto un intero ventennio di abusi di potere, ed ora devi sorbirti, summa iniuria, pure la sciagurata storiella che ha per titolo “il ravvedimento figlio dell’emergenza”; al fine di non mortificare oltre la tua intelligenza e di non compromettere il funzionamento del tuo già sfiancato sistema nervoso centrale, direi proprio che l’argomento lo chiudiamo qui.

3) Berlusconi ha vinto. Anzi, rivinto. Anzi, stravinto.

O forse sarebbe stato più adatto, come titolo del paragrafo, “Il caimano riabilitato”.

L’uomo gongola; dal suo scranno di senatore, può ricominciare ad ammonire, suggerire, influenzare, brandire. È la soddisfazione della vittoria inattesa quella che traspare dagli occhietti liquidi del quasi ottuagenario. Lui, che in vent’anni di vita politica da oligarca del bagaglino, di regali ne ha ricevuti molti, recatigli in dote con inequivocabile spirito di sottomissione dall’ acefalo centro-sinistra italiano, quest’ultimo omaggio non se lo aspettava davvero.

Già si sussurra di possibili salvacondotti tombali – Senatore a vita, con ogni probabilità – o di incarichi d’alto profilo costituente, quali la presidenza di un indefinito organo parallelo e separato, cui affidare la rifondazione della politica – una bicamerale bis, l’ultima umiliazione di un Parlamento esautorato e vacuo – che funga da momentaneo tappeto rosso per l’immancabile cammino che lo condurrà verso lo scranno più alto, il più ambito: la Presidenza della Repubblica.
Pur non essendo veggenti, sappiamo già come finirà: sarà sufficiente un pretesto qualsiasi, e, con il vento in poppa dei sondaggi, vedremo il ritiro della fiducia ed il ritorno alle urne.
“L’accordo di governo, siglato con i nostri avversari, è stato funzionale alla realizzazione del nostro programma, per il bene delle Istituzioni e della tenuta economica del nostro beneamato Paese; ma ora è il momento di porre fine a questa anomalia. Ènecessario ridare la parola agli elettori, giacché nulla può esser posto al di sopra della volontà popolare”.
Signori, si accettano scommesse.

4) Beppe Grillo e il M5S

Solitario e sorridente, in cima all’albero della cuccagna c’è senza ombra di dubbio il comico genovese. Privato dell’onere della proposta – onere che non ha mai, nemmeno per un istante, immaginato di far proprio – continuerà a far quello che meglio gli riesce: salmodiare ed inveire contro l’odiata casta, stavolta con la certificazione delle proprie ragioni, fornitagli, sic et simpliciter, da un governo che è, in se stesso, rappresentazione plastica di quell’inciucio da anni denunciato dalle pagine del suo blog aziendale.
Seguiranno strali temerari ed immaginifici happening all’insegna della purezza, da contrapporre alla torbida prassi dell’incarnazione da realpolitik dell’ennesimo Letta di potere.


“Che fatica essere italiani”.

Il sussurro del Bispresidente novantenne al giovin Enrico, in sede di giuramento, colto dai cronisti appollaiati a Montecitorio, è più di un’evocazione: è pura esegesi dell’autorità, è la solidale correità di una baronia tricolore che non morirà mai, l’effige di una restaurazione complice alla quale, con buona pace di ogni speculazione monocolore e di ogni monito che inviti alla pacificazione, alla normalizzazione, alla quiete, ognuno di noi avrà l’obbligo di opporsi.

Il nostro No non è mai stato cosi necessario, così inamovibile e così prezioso.

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