Filosofi spiccioli

5 Mag

Animato dall’ulcerante tendenza a credersi depositario di insindacabili verità, Paolo Becchi sciorina, ormai da mesi e con cadenza settimanale, salmi da tuttologo patinato.
L’ometto, che ha un faccione rubizzo e simpatico degno d’un personaggio da commediaccia all’italiana che mal s’accompagna al suo titolo di filosofo cattedratico, suole avvalersi, per veicolare le proprie preziose opinioni, del mezzo televisivo. Non è raro ritrovarlo collegato, in primo piano – occhialetto spesso e barbetta irsuta – all’interno di qualche talk show-contenitore in onda sulle tivvù del Belpaese.

Dall’aspetto affine più ad un Mario Brega in odor di congiuntivo che non ad un Karl Marx post-moderno, il professore, nell’ultimo anno, ne ha sparate di grosse; e, si sa, chi la spara più grossa, in Italia, guadagna automaticamente il diritto ad essere ascoltato.
Tra la denuncia di fantasiosi complotti pluto-massonici e bizzarre teorie economico-pauperistiche, Becchi è – con ogni evidenza – uno che, in ogni caso, ama la televisione. Come chiunque interpreti il ruolo dell’opinionista un tanto al chilo, ne parla assai male: s’inerpica sovente in strali atti a notificarne la matrice classista e fuorviante, e denunzia, ad ogni piè sospinto, l’asservimento al Regime dei giornalisti tutti; ciò non di meno, mai si esime dal farsi massaggiare dall’intervistatore di turno, né è solito sottrarsi al battibecco mediatico.

Certo, qualche giorno fa è andato un tantino oltre: le parole assolutorie pronunziate nei confronti di Luigi Preiti, il cecchino maniaco-depressivo di Montecitorio, non potevano essere ascritte esclusivamente ad un eccesso di vis polemica. Il prof deve aver capito fin da subito di aver sconfinato nella puttanata più di quanto non sia solito fare, ricorrendo, in un tic di rimandi degni del miglior Berlusconi parabolano, all’evocazione della provocazione, dello scherzo frainteso e dell’immancabile, immarcescibile, inevitabile misunderstanding figlio della cattiva coscienza dell’intervistatore – nel caso specifico, di quei due marpioni di Cruciani e Parenzo, animatori di quell’ irresistibile contenitore radiofonico di cazzeggio politico che è La zanzara.

Da sempre indicato come uno degli ideologi di punta del M5S – e riconosciuto come tale, almeno fino alla settimana scorsa, non solo dal comico incendiario, ma soprattutto dalla selva internautica di animatori grillini che, sui vari blog di riferimento, ne hanno sempre elogiato le strampalate teorie – Becchi continua ad essere considerato un interprete del disagio italiano, come prima di lui Bossi, Iannone, e gli innumerevoli apologhi dell’uso delle armi provenienti dalle galassie antagoniste.

La verità è che Paolo Becchi è soltanto l’ultimo esemplare di quel prototipo di spietato imbonitore da operetta di cui l’Italia è sempre stata infestata, un faccione buono per macinare approvazioni da rilevamento auditel, con la stessa funzione simbolica di una velina coperta da un due pezzi glitter rosa shocking: attrarre visioni ed aizzare consensi in un pubblico estenuato, affamato e divenuto cinico quel tanto che basta a non riconoscersi più.

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