Grilli d’antan

31 Mag

A Roma, il M5S è scomparso dai radar per molte (buone) ragioni, ma, tra tutte, una sola è stata davvero decisiva: Ignazio Marino e Gianni Alemanno non sono la stessa cosa.
E, per quanto ci si possa arrampicare sugli specchi dell’assimilazione post-ideologica declinata un tanto al chilo, affannandosi nella coazione a ripetere del “rossi e neri tutti uguali” tanto cara al grillismo elettorale, Marino e Alemanno rappresentano due visioni della politica e del mondo diametralmente opposte; un uomo di sinistra, laico ed ecologista da un lato, un esponente della più retriva destra (pseudo)sociale dall’altro.

Certo, il fatto che De Vito incarnasse plasticamente l’archetipo del dilettante allo sbaraglio non può non aver danneggiato il Movimento, benché, io ritengo, in misura non decisiva.
Tutte le altre ragioni addotte dai grilli romani – i giornalisti cattivi, gli elettori confusi, l’astensionismo, la piazza sbagliata, il derby, Sandro Medici e bla bla bla – sono soltanto fuffa di contorno.

Il M5S, nella capitale, ha preso 150.000 voti. Vale a dire circa 1/4 di quanto raccolto dalla coalizione di centro-sinistra, e poco più di 1/3 rispetto ai voti di Alemanno & C.
Persino la lista Marchini, nata solo tre mesi prima delle elezioni, si è posizionata ad una incollatura da De Vito, ottenendo 120.000 preferenze.
Ora, a mio avviso, con questi numeri non esiste retorica da aritmetica elettorale che tenga.


Certo, chiunque può fornire delle percentuali l’interpretazione che ritiene più funzionale o corretta, ma, diciamocelo chiaro, il dato qui va oltre i numeri, ed è squisitamente politico: una forza come il M5S, a cavallo (non solo semanticamente) tra tsunami e rivoluzione, autodeterminatasi e definitasi come maggioritaria in ogni singola occasione recente e passata – “noi siamo la società civile”, “siete circondati” ed altre amenità da folla oceanica -, che si ritrova oggi, subito dopo il voto, a parlare di scorpori, consiglieri, percentuali, elettori rincoglioniti e giornalisti cattivi, proprio come avrebbe fatto un qualunque partitino ad una cifra della prima repubblica, è in piena antitesi con le premesse e gli obiettivi del Movimento.

Tra l’altro, di questa crisi di sistema in seno al M5S (una crisi da assenza di sistema, a ben vedere) ne è prova inconfutabile l’ultima, incomprensibile, autodistruttiva polemica sollevata dal capobranco contro Rodotà, definito, testualmente, “un ottuagenario miracolato dalla Rete, sbrinato di fresco dal mausoleo dove era stato confinato dai suoi”. Un segnale inequivocabile di quella “assenza di linea” già ampiamente percepita dall’elettorato pentastellato, che, io credo, possa aver pesato anche sul risultato elettorale.

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