Il progressivo spegnersi dei riflettori occidentali sulla rivolta di Piazza Taksim, e sulla destrutturazione che questa ha prodotto nell’intero tessuto sociale turco, non corrisponde affatto ad una diminuzione delle tensioni in corso nel Paese; piuttosto, suggerisce ed amplifica la vacuità colpevole di una Europa priva di qualsivoglia prospettiva metodologica condivisa, e nella quale l’ineffabilità della propria politica estera si fa sineddoche dell’assenza di un orizzonte propriamente etico – gli inutilmente evocativi ed immancabilmente strombazzati “valori occidentali”.
Procediamo dunque a un breve sunto degli eventi degli ultimi giorni, prima di avventurarci in considerazioni, crediamo, di più ampio respiro.
– Alle 21 di ieri sera, circa 2000 manifestanti hanno tentato di riprendersi Piazza Taksim; alle ragioni che animano ormai da un mese la protesta, si è aggiunta la rabbia per la decisione, assunta dalla Corte di Ankara, di rilasciare un agente di polizia accusato di avere ucciso con una pallottola alla testa un dimostrante.
– La scorsa settimana sul sito del quotidiano “Hurriyet” è stato diffuso un video nel quale 17 agenti massacrano di botte tre giovani in un garage. Il filmato, ottenuto dall’associazione avvocati progressisti, mostra due ragazzi e una ragazza seduti per terra in un parcheggio sotterraneo, probabilmente mentre cercano di sfuggire alla repressione della polizia durante una manifestazione ad Antaliya, il 2 giugno scorso. Contestualmente alla diffusione del video, il Premier Erdogan ha elogiato nuovamente l’operato della polizia, parlando di “epopea eroica”.
– Nell’ambito delle indagini sulle proteste anti-governative partite da piazza Taksim a Istanbul e svoltesi ad Ankara, la polizia turca ha arrestato 20 persone con l’accusa di far parte di organizzazioni terroristiche. Tra i capi di imputazione, anche gli attacchi alla polizia e la distruzione di proprietà pubbliche nella capitale.
– Resta impossibile fornire un numero esatto dei feriti dall’inizio delle proteste, ma una cifra considerata realistica si aggira ormai attorno alle undicimila unità.
– Ad oggi, almeno 15 manifestanti hanno perso la vista a seguito del massiccio impiego di gas urticanti utilizzati dalle forze dell’ordine.
La sanguinaria reazione del Governo turco alla marea delle proteste, cresciuta e sviluppatasi nel corso di questo giugno 2013, ha progressivamente svelato non solo la pervicace violenza di una satrapia di potere corrotta, oscurantista e sorda alle più basilari istanze di rinnovamento provenienti dalla maggioranza della popolazione, insieme alle mire messianico-espansionistiche di un uomo, il Primo Ministro Recep Tayyip Erdogan, ormai del tutto imbrigliato in un dualismo solipsistico e patologico-ossessivo con Mustafa Kemal Atatürk (padre della Turchia moderna e artefice, all’inizio del ‘900, della riunificazione democratica del Paese); il nucleo della repressione, scomposta ed intollerabile, ha rivelato soprattutto come quel sistema di potere si ostini a rifiutare la principale prerogativa della contemporaneità, vale a dire la multipolarità, proponendosi altresì come l’avamposto di una visione bipolare del mondo, che è, in se stessa, specificatamente pre-moderna.
Il collasso di una visione dicotomica della realtà e le divergenze insanabili che animarono la metodologia meccanica Cartesiana – nella frattura tra realtà psichica e realtà fisica, tra res cogitans e res extensa – divenendo poi il presupposto speculativo della filosofia politica di Hobbes e del conflitto Hegeliano tra servo e padrone, giungono indiscutibilmente a compimento nell’era delle nuove scoperte neurologiche.
Già nella riflessione che legò Nietzsche a Bergson vi furono anticipazioni radicali nell’idea di una compenetrazione continua di flussi di forze separate e concorrenti – volontà di potenza, evoluzione creatrice – fino a giungere, oggi, ad un approdo concettuale del tutto peculiare, in cui la multipolarità si annoda e si incunea alla sovrapposizione dei diversi piani di realtà, in cui realtà e virtualità si compenetrano nello spazio immateriale del web.
Nel pensiero contemporaneo a cavallo tra filosofia politica e riflessione psico-antropologica, nel dualismo che intercorre tra l’uno e il due, si inserisce la categoria nuova della moltitudine; nella sintesi e nell’accostamento dei concetti di pluralità e di mobilità si ridefinisce la singolarità in se stessa. Il XXI secolo, attraverso la globalizzazione, ha prodotto un rinnovato sommovimento teoretico tale da destituire di fondamento concetti fino a ieri dati come acquisiti – basti pensare al mutare delle stesse idee di centro e di periferia, di interno ed esterno, di integrazione e di frantumazione, fino alla ridefinizione delle nozioni di appartenenza e di uguaglianza.
Il continuo richiamo a una lotta senza quartiere da condurre contro le forze che animano un generico complotto ai danni dello Stato turco, più volte paventata da Erdogan e dalla corte di giannizzeri che lo circonda, altro non è quindi che un esercizio retorico teso a banalizzare e sminuire la vera natura della protesta, la quale vive e si articola come emblematico contraltare della contemporaneità e delle sfumature di complessità in essa innervate; la retorica di un antagonismo tra soggetti contrapposti e definiti – lo Stato da un lato, i terroristi dall’altro – rappresenta un tentativo patetico di semplificazione della multiforme ed articolata specificità del movimento, e, dunque, del reale.
La verità è che a Piazza Taksim la multipolarità ha prevalso: le differenze non sono scomparse, esse sopravvivono, ma i diversi soggetti che compongono le mille sfaccettature della società turca hanno iniziato a trovare punti di comunanza: in particolare, la borghesia laica figlia del miracolo economico degli anni novanta e quella conservatrice ed islamico-moderata, hanno iniziato ad influenzarsi a vicenda – nel modo di pensare, nei comportamenti, financo nell’estetica.
Cenzir Aktar, docente universitario, sostiene che le proteste nate per salvaguardare Gezi Park non siano state una reazione all’islamismo imperante, quanto piuttosto un intransigente rifiuto dell’autoritarismo tout court. Come esempio, viene spesso ricordato quanto accaduto in piazza il 6 giugno scorso: in occasione di una festa musulmana, i manifestanti laici e di sinistra hanno sospeso l’uso dell’alcool per rispetto nei confronti dei manifestanti religiosi presenti nel corteo.
La rivolta turca continua a rappresentare, per ogni osservatore degno di questo nome, soprattutto un argine contro ogni velleitarismo populista; essa incarna in via inderogabile il nostro rifiuto di ogni semplificazione, di ogni banalizzazione, di ogni violenza culturale che fa dell’istintualità manichea e della delegittimazione dell’altro il brodo culturale che anticipa, avallandolo, il colpo di pistola. È la reazione ad ogni autoritarismo brandito come un’arma contro la riflessione sistematica, contro l’indagine sull’uomo e contro la complessità dell’odierno.
In questa lotta, che è la lotta della razionalità contro la degenerazione del potere, nessun arretramento è ammissibile.
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